Anniversario della nascita di Otello. Confesso che all’approssimarsi del centenario della sua nascita non ci avrei fatto caso, mentre invece ogni anno mai mi sfugge l’anniversario della sua morte.

Ho conosciuto Otello nei primi anni ’60 a Roma pochi anni dopo che lui vi si era trasferito. Me lo presentò mia sorella Antonella che faceva parte di un gruppo di studenti universitari della Facoltà di Lettere, appassionati di teatro che si ritrovavano nel Circolo Universitario Comunista. Tentavano di aiutare Otello con traduzioni e segnalazioni di testi che potevano interessarlo.

Otello conduceva una vita molto precaria, si pensi che Otello in quegli anni, trascorse un intero anno senza lavoro; un solo spettacolo. A quei tempi non aveva una compagnia, un amministratore, né una sede fissa e nei periodi più foschi, neppure un recapito telefonico. Eventuali committenti dovevano contattarlo tramite gli amici oppure lasciare messaggi ai camerieri compiacenti del caffè “I sette nani” di Piazza Navona. Se il contatto andava a buon fine, chiamava amici che lo avevano già aiutato in baracca. Difficile formare una compagnia a queste condizioni. Molti attratti dal suo talento e dal suo fascino (era un affabulatore straordinario, un seduttore, un vero conta storie) si avvicinavano a lui e alcuni offrivano anche collaborazioni volontarie entusiaste per un certo tempo, ma poi dovevano presto o tardi allontanarsi per mancanza di prospettive. Eppure la produzione che riuscì a realizzare in quel periodo è veramente imponente. Gradualmente la sua situazione migliorò e creò il TSBM.

Nella dolce vita che gravitava intorno a Piazza Navona era facile incontrarci, le nostre case in via dei Coronari erano contigue, i nostri conoscenti comuni. Nei caffè e la sera nelle pizzerie, tutti si davano grandi atteggiamenti da spiriti fertili, creativi ma anche da grandi rivoluzionari. Con Otello però avevo coscienza di venire a contatto con una persona che la Resistenza e lotta armata, l’aveva fatta davvero e sul serio.

Diventammo inseparabili e per sua influenza cambiai la mia vita, lasciai il mio insegnamento di matematica diventando professionista per seguirlo nei suoi progetti. I nostri rapporti nel giro di trenta anni sono cambiati, passando dalla completa solidarietà, dall’amicizia fraterna, direi quasi “simbiotica” dei tempi duri, al successivo affievolimento dopo qualche anno a Reggio Emilia, e poi fino alle contrapposizioni e alla rottura completa. Non era facile convivere con una forte personalità come quella di Otello. O meglio, è stato facile fino a quando siamo stati attanagliati dall’indigenza in cui la precarietà del quotidiano costringeva a una grande solidarietà e a rimandare discussioni.

Bisogna dire che Otello quando si irritava perdeva il lume degli occhi e poteva essere feroce, sgradevole, ingiusto veramente offensivo. Si intuisce dunque che per me non sia facile parlarvi di Otello, sono troppo legato affettivamente e non sempre sono obiettivo.

Trascorsi tanti anni sono ora in pace con Otello, sia per la riconciliazione, avvenuta nei suoi ultimi anni, tardiva ma reale, sia perché sono diventato più obiettivo io e oltre a ricordare le ombre della sua personalità ora vedo anche le mie, le mie responsabilità. Qualche tempo prima della sua scomparsa, di fronte ad un certo numero di visitatori, abbiamo rappresentato, lui ed io il suo noto numero “Le papere” come decenni prima. Ne conservo la foto. Poche settimane prima di morire, nel corso di una visita mentre mi apprestavo a lasciarlo, mi dichiarò con mia grande commozione che, dopotutto: “Sei quello che mi ha tradito meglio”. Mi interrogo ancora su quello che volesse dire.

Nel teatro d’animazione, non solo italiano, Otello appresenta una presenza fondamentale ed è stato unanimemente riconosciuto come un geniale innovatore in tutti i campi della nostra arte. Pur condividendo questa unanimità, mi chiedo quanto sia rimasto di percepibile delle varie sue sperimentazioni, delle sue innovazioni, del suo lavoro, della sua influenza e del suo impegno nel teatro di animazione italiano contemporaneo.

Di certo, una influenza importante ha lasciato tracce nel nostro mondo, se non altro, come è noto, molti gruppi del panorama italiano provengono per filiazione, diretta o indiretta, da scissioni di prima o seconda generazione della sua Compagnia per opera di suoi collaboratori (inclusi i famigliari). Ma del suo impegno, delle sue innovazioni, cosa è rimasto nel nostro mondo? Non saprei dirlo. Più in generale: come rendere, come conoscere l’opera, come discernere l’influenza di un innovatore, di un realizzatore ed interprete di teatro quando non è più possibile vedere i suoi spettacoli dal vivo? Cosa resta del suo teatro?

Rimangono tracce dell’opera di Otello, è vero, ma sappiamo quanto siano insufficienti i video, le immagini, le critiche sulla stampa per rendere conto di tutta una vita incredibilmente attiva. Rimane fortunatamente un’importante quantità del suo lavoro, dei suoi materiali, ora conservati nel museo della Fondazione Famiglia Sarzi a Reggio Emilia. Ma di Otello resta prima di tutto un vuoto, un grande vuoto e restano i ricordi di lui, sparsi in una quantità di persone ma disperse in ogni parte del mondo.

Nelle sue opere opponeva, la passione, le emozioni alla ragione, all’idea, alla lucidità. Al di là delle sperimentazioni, Otello non dimenticava anzi conservava, valorizzava il comico, la satira dei burattini popolari a differenza di tante ricerche di compagnie contemporanee, immancabilmente piuttosto seriose.

L’importanza di Otello nella nostra arte è difficile da circoscrivere poiché il suo teatro e la sua opera riguardano, sia gli aspetti teorici che pratici del teatro e sollevano la questione di che cosa sia in realtà il burattino. Fino a dove possiamo estendere la nozione di burattino?

Una costante del percorso della sua ricerca è la sua sensibilità per i materiali: legno, cartapesta, ferro, lattice, stoffe, oggetti comuni. Ovviamente la scelta non è arbitraria ma tutt’una con le emozioni del testo da trasmettere. Direi: si possono fare burattini con qualsiasi cosa ma non in qualsiasi modo. Ma come “far dialogare” un linguaggio espressivo intrecciandolo con la materia?

Ogni materia ha una sua identità che i creativi di talento e i bambini avvertono e sanno felicemente sfruttare lasciandosi influenzare da essa: quando i bambini incontrano qualcosa di nuovo, la prima cosa che pensano è: “A che cosa mi può servire?” (sottinteso, per giocare). C’è qualcosa di analogo all’atteggiamento che io immagino nella testa e nelle mani di Otello: “Nel mio teatro, quali emozioni questo materiale potrebbe aiutare ad esprimere?”. Otello era in dialogo, un gioco permanente con la materia (si ricordino le parole di Dario Fo a proposito di Otello).

Abbiamo a che fare con una infanzia residua con una infanzia che non è solo quello stadio della vita immancabilmente destinato a passare. Ma preservare l’infanzia dentro di sé non significa certo ricadere nell’infanzia, né ricostruire un prima, il quale per definizione non può che essere una ricostruzione a posteriori.

In una enciclopedia recentemente pubblicata dedicata a Gianni Rodari le varie voci sono: Rodari maestro elementare, e poi impegnato politicamente, giornalista, scrittore, poeta, ecc., … (io curai la voce: Rodari e i burattini). Mi domando se Otello non meriterebbe una attenzione e una iniziativa analoga: Già vedo: Otello burattinaio tradizionale, Otello innovatore, Otello e i materiali, la cultura di Otello, Otello partigiano e tanto altro ancora.

Qualsiasi possano essere le valutazioni sulla sua opera, la sua poetica resta il fatto che il suo immenso lavoro, di cui è perfino quasi impossibile valutare l’entità, deve suscitare la nostra ammirazione, il nostro immancabile rispetto e soprattutto la nostra immensa riconoscenza.

Mariano Dolci